Dalla parola “orchestra” derivano i termini “orchestrare e orchestrazione”, entrati nel linguaggio corrente e utilizzati in senso traslato, in riferimento ad abilità organizzative associate al cosiddetto “team – working”. In Italia molti ignorano le abilità trasversali che si celano in un’orchestra sinfonica, così come la maggioranza degli italiani dimentica di avere nel proprio paese una grande tradizione musicale che tutto il mondo ci invidia. L’immagine romantica degli orchestrali come una classe di professionisti che svolge il mestiere più bello del mondo e paragonabile a un gioco corrisponde al vero? Imparando a conoscere come funziona, l’orchestra è in realtà un possibile modello di riferimento per la società civile e per il mondo lavorativo.
“Orchestrare e orchestrazione” sono termini entrati nel linguaggio corrente e utilizzati in senso traslato, in riferimento ad abilità organizzative associate al lavoro di squadra, al cosiddetto “team – working”. Ma quando pensiamo all’orchestra molti di noi non conoscono o dimenticano l’origine di questa parola, ricollegabile al teatro greco e al luogo riservato al coro, agli strumentisti e ai danzatori durante le rappresentazioni teatrali. Uno spazio simile a quello che ritroviamo oggi nei teatri lirici, dove nella “buca” suonano gli strumentisti mentre sul palco si esibiscono i cantanti lirici o i ballerini.
In Italia molti dimenticano di avere nel proprio paese una grande tradizione musicale che tutto il mondo ci invidia. in particolare quella operistica. Nella patria di Verdi, Puccini e Donizetti le orchestre sono soprattutto legate agli enti lirici come Il Teatro alla Scala di Milano, il Teatro Massimo di Palermo, il Teatro Regio di Torino, Il Teatro la Fenice di Venezia e il Teatro San Carlo di Napoli, per citarne alcuni, mentre le orchestre sinfoniche sono un’istituzione meno nota al grande pubblico. Molte orchestre nazionali sono scomparse all’inizio degli anni Novanta per mancanza di finanziamenti. Basti pensare che l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, con sede a Torino, è nata nel 1994 dalla fusione delle precedenti quattro orchestre della Rai di Milano, Torino, Napoli e Roma. Mentre più numerose sono le orchestre regionali, spesso con un organico più ridotto.
Per poter capire a fondo il valore del mondo delle orchestre sinfoniche sorge spontaneo chiedersi quanto gli italiani lo conoscano. In realtà un vasto pubblico televisivo italiano assiste una volta all’anno al Festival di Sanremo, dove una grande orchestra accompagna i cantanti, ma pochi in Italia frequentano i teatri d’opera o hanno mai assistito a un concerto sinfonico e visto un’orchestra dal vivo.
Quanti italiani sanno che l’organico è variabile a seconda del repertorio, partendo dai quaranta elementi per un repertorio dell’Ottocento fino a raggiungere cento elementi e più per autori del Novecento? E che le piccole orchestre da camera che eseguono un repertorio generalmente barocco o apposite trascrizioni di brani sinfonici non hanno bisogno di direttore, il cui ruolo è ricoperto da uno strumentista? Ma soprattutto qual è la percezione che la società ha del mondo dei musicisti e della vita in un’orchestra?
I professionisti della musica sanno di essere considerati una categoria a parte, romanticamente vista come una classe di professionisti che svolge il mestiere più bello del mondo paragonabile a un gioco. La parola stessa in inglese, tedesco e francese è ambigua e induce all’equivoco: suonare è sinonimo di giocare “to play”, “spielen”- “jouer”. La gente comunemente pensa che si tratti di un lavoro serale per un paio d’ore. Al contrario suonare, soprattutto in un’orchestra, richiede un duro lavoro: due giorni di prove d’orchestra a cui si aggiunge una prova generale per un programma di circa un’ora e mezza oltre l’intenso studio individuale a casa. L’organizzazione di un’orchestra è tutt’altro che un gioco e non può definirsi un’istituzione democratica, proprio come non lo è l’equipaggio di una nave. E’ regolata da una rigida gerarchia, senza la quale non potrebbe funzionare. Il direttore è al vertice e il primo violino è paragonabile a un vicedirettore, ogni fila di strumenti è controllata da un musicista capofila che deve sorvegliare la propria categoria di strumenti. L’assenza di amplificazione comporta una preparazione molto accurata, perché non è possibile modificare i volumi.
Tutto dipende dal direttore d’orchestra.
È lui il tecnico del suono, l’amplificatore che regola le categorie degli strumenti. Il suo ruolo è fondamentale soprattutto nell’interpretazione dei brani e l’orchestra è il suo strumento, esattamente come un pianista preme i tasti di un pianoforte con diversa intensità, trasmettendo la propria emozione attraverso un’interpretazione personale. Per i musicisti è importante osservare i suoi movimenti, cogliere lo sguardo per comprendere le sfumature interpretative.
Come ogni mestiere questo comporta una buona dose di stress. Non se ne parla molto, ma tra i musicisti è diffusa l’ansia da prestazione e talvolta sopraggiunge la depressione dovuta alla mancanza di un’identità, sacrificata nell’organico in nome di una buona performance musicale.
Si tratta dunque di una scuola di vita per le nuove generazioni? Peccato che il pubblico degli auditorium e dei teatri lirici sia prevelentemente oltre la mezza età, perché in Italia manca un’educazione musicale diffusa, che dovrebbe iniziare dalla scuola primaria. Di questo risente non solo l’età della platea, ma anche l’affluenza degli ascoltatori, inadeguata al sostentamento delle orchestre in Italia, sofferenti per mancanza di finanziamenti se paragonate ai corposi investimenti per la musica nel resto d’Europa, in particolare in Germania.
Servono soluzioni efficaci per attirare i giovani.
Ed è così che le amministrazioni delle istituzioni musicali individuano oggi strategie per catturare la presenza di un pubblico folto e giovane, dal happy hour organizzato nella stagione 2018-19 dalla “Verdi” all’auditorium Mahler di Milano, aperitivo e concerto al prezzo di 15 euro e l’esecuzione di repertori accattivanti, come le cover dei Queen, degli Abba o di altri gruppi pop e rock, per far capire che un’orchestra può fare tutto e che non esistono confini rigidi per la musica quando è buona musica. Tra le nuove tendenze negli auditorium non manca l’esecuzione di colonne sonore dal vivo con proiezione di film così come il coinvolgimento di alcune persone scelte tra il pubblico che possono sedere di fianco ai musicisti mentre suonano. Un’esperienza emozionante per chi non fa musica e che per una volta può comprendere in prima persona e dal vivo la magia generata dalla musica d’insieme.
Lontana dalle presunte affinità con il gioco, scopriamo che in realtà l’orchestra, pur con le sue contraddizioni, è un possibile modello per la società civile e per il mondo lavorativo: vi s’insegna a “orchestrare” un buon lavoro di gruppo mirato a una performance di alto livello, ma soprattutto a convivere con empatia e rispetto reciproco.
Isabella Longo
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